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Milano - «Milano vince la sfida del futuro recuperando le aree degradate»
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«Gli amici mi hanno appena regalato un libro. Bellissimo. Ecco Milano com'era». E sfoglia pagine e fotografie in bianco e nero. Ma la mano di Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia, corre sicura alla vecchia stazione delle Varesine, ai binari, ai palazzi con alle spalle piazzale Duca d'Aosta. Viaggiatori e pendolari di inizio Novecento in attesa appunto delle «varesine», come si chiamarono fino al 1944 le locomotive elettriche a terza rotaia. Nel 1961 la partenza dell'ultimo treno.
 
Di Giannino della Frattina
Fonte: Il Giornale



Di Giannino della Frattina

«Gli amici mi hanno appena regalato un libro. Bellissimo. Ecco Milano com'era». E sfoglia pagine e fotografie in bianco e nero. Ma la mano di Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia, corre sicura alla vecchia stazione delle Varesine, ai binari, ai palazzi con alle spalle piazzale Duca d'Aosta. Viaggiatori e pendolari di inizio Novecento in attesa appunto delle «varesine», come si chiamarono fino al 1944 le locomotive elettriche a terza rotaia. Nel 1961 la partenza dell'ultimo treno.

Poi il luna park e un decennio di abbandono. Oggi solo degrado e le piantine che sembrano parlare a chi, su quella che per quarant'anni è stata terra di nessuno, ha deciso di scommettere. Oltre 250mila metri quadrati su cui a settembre è partito il progetto Garibaldi-Repubblica-Varesine. Una grande opera di risanamento per quella che il sindaco Gabriele Albertini ha più volte definito «la ferita di Milano, la Tobruk deserta e polverosa». E lo scrittore Luca Doninelli, citando un titolo di Andrej Platonov, il «grande sterro».

«Un tessuto urbano lacerato - spiega Catella accarezzando le planimetrie -. Prima la stazione e i binari, ora grandi arterie come via Melchiorre Gioia che rendono impossibile la comunicazione. Invece l'Isola deve dialogare con Corso Como. E così tutto il resto. I vecchi quartieri degli artigiani con il nuovo centro direzionale e i grattacieli delle istituzioni. Ma la vera impresa è stata mettere d'accordo tanti diversi proprietari». Nell'area, acquistata dall'immobiliare Hines che ha raggiunto un accordo con Fondiaria Sai e il gruppo Galotti,nasceranno la Città della moda, il polo istituzionale con le nuove sedi della Regione disegnata da Pei in via Sassetti e il grattacielo del Comune, la biblioteca degli alberi. Il tutto intorno a una grande piazza rotonda. Cento metri di diametro e sei metri di altezza, realizzata tra l'imbocco di Corso Como e la stazione Garibaldi. Intorno palazzi schizzati in ferro e vetro alti fino a 150 metri. Sotto, interrati, gli assi di scorrimento veicolare e ferroviario, i parcheggi e una strada con negozi.

A Nord il traffico veloce. Oltre la piazza, il museo della moda e a nord il terzo parco più grande di Milano disegnato dal gruppo olandese Inside-Outside. «Con Cesar Pelli, che ha steso il master plan, abbiamo dovuto studiare a lungo la conformazione del territorio - spiega Catella -. E risolvere i problemi con una grande piastra soprelevata. Interreremo i binari per creare un grande percorso pedonale che partirà da Corso Como e arriverà in una grande agorà della Moda. Qui d'estate si potranno anche svolgere manifestazioni all'aperto».

Oltre 85mila metri di parco, 115mila di aree pedonali. Una città per chi va a piedi? «La qualità della vita si misura nei primi tre metri. Certo, sono importanti i palazzi e i grattacieli, ma molto di più quello che si vede mentre si passeggia. Il futuro di Milano non sarà lì dove è già costruito, ma nelle aree degradate da risanare». Qualità della vita sembra essere la chiave per aprire un futuro diverso. Che affonda radici ben salde nel passato («Non dobbiamo dimenticare nulla»). Sarà un'operazione da oltre un miliardo di euro in investimenti.

«Ma non si riduca questa operazione - avverte Catella - alla Città della Moda. La sfida è molto più ampia e riguarda la competitività di Milano. In questa occasione possiamo dimostrare di essere una città attrattiva, possiamo mettere in mostra la moda, il design la creatività». Qualche polemica sulla «invasione» degli architetti stranieri? «Mi sembra un errore. L'unica logica che deve guidare le scelte di una committenza attenta è la qualità del progetto. Chi costruirà in quell'area ha già fatto opere importanti.

Si possono vedere, sono sotto gli occhi di tutti. Aver la possibilità di far lavorare a Milano grandi architetti è un arricchimento per tutti. Per Milano, per i colleghi italiani, per i giovani. Quando uno bravo lavora da noi è una vittoria. Porta conoscenze che diventano un patrimonio che va custodito. Bellezza, qualità e fattibilità del progetto devono essere gli unici criteri per scegliere. Insieme a idee innovative, grandezza della sfida e responsabilità verso la comunità».
 
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