Arsenale repubblicano di Pisa
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Argomento: Articoli di interesse tecnico


Dell’attività marinara dei pisani abbiamo testimonianza scritta sin dal 603, data che segna una tregua generale tra Bizantini...




Scritto da Antonio Minosi ( antoniominosi@interfree.it )

Dell’attività marinara dei pisani abbiamo testimonianza scritta sin dal 603, data che segna una tregua generale tra Bizantini e Longobardi dovuta alla mediazione di papa Gregorio Magno che non era però riuscito ad ottenere alcuna garanzia sulla neutralità dei pisani e le loro navi, pronte a partire per nuove spedizioni. Tale attività marinara continua ininterrottamente per tutto l’Alto Medioevo, fino a fare di Pisa la protagonista di clamorose imprese nel Mediterraneo sin dagli albori del nuovo millennio:

·        828…spedizione intrapresa da Bonifacio di Lucca con mezzi navali pisani alla volta della Corsica, della Sardegna e successivamente delle coste dell’Africa (Pisa era sottoposta allora a Lucca ed era interessata alla Corsica fin dal VIII secolo);

·        1005…vittoria sui Saraceni a Reggio;

·        1015-1016…vittoria in Sardegna;

·        1034…vittoria a Bona (Africa settentrionale);

·        1064…a Palermo;

·        1087…vengono espugnate, insieme ai Genovesi, le città africane costiere d’al-Mahdiya e Zawila;

·        1113…i pisani salpano alla volta delle Baleari.

La fama della straordinaria potenza militare e navale di Pisa, grazie soprattutto a queste ultime imprese, si diffuse notevolmente.

A chi spettasse l’iniziativa armatoriale in tutto questo periodo non è detto dalle fonti, ma i sostenitori e gli artefici della vocazione marittima pisana sono senza dubbio da ricercarsi all’interno delle famiglie che andavano costituendo la prima aristocrazia consolare del Comune.

Dagli anni Sessanta del XII secolo, ossia dall’epoca in cui le strutture comunali si andavano definendo con una sempre maggiore articolazione e organicità, si hanno le prime notizie dell’intervento diretto del Comune nell’armamento marittimo. Tra le opere pubbliche progettate dal Comune, c’è una darsena da realizzare in prossimità dello sbocco di Via S.Maria sull’Arno, o in altro luogo che sia ritenuto più idoneo. Ecco che è fondata nel 1200 la darsena della Repubblica, la Tersana, a ovest di S.Vito, addossata alle mura urbane che la chiudono a oriente; questa è fortificata su tre lati e dotata all’interno di 80 portichi per il ricovero delle galere.

Il compito di provvedere alla costruzione, all’armamento, alla custodia delle galere e di mantenere efficienti le strutture cantieristiche è affidato all’operarius, eletto dagli Anziani del Comune, dai consoli dei tre Ordini e dai priori delle sette Arti.

Le opere murarie della Terzana, quale ad esempio la costruzione della torre Ghibellina nel 1290, sono puntuale eco della vitalità duecentesca dei Pisani nel settore della navigazione. Nonostante la sconfitta subita alla Meloria nel 1284 per opera dei Genovesi, che aveva comportato la perdita di parte della flotta repubblicana e la morte o la lunga prigionia di migliaia di Pisani, tra Duecento e Trecento continuava dunque a mantenersi viva -pur nelle crescenti difficoltà interne ed esterne- la secolare vocazione marinara di Pisa.

Il declino dell’attività cantieristica della Tersana fu segnato dalla perdita, nel 1325, della Sardegna, avvenimento che provocò un colpo gravissimo per le finanze del Comune e provocò la contrazione del commercio marittimo pisano, con massima depressione nel ventennio 1325-1345. Prima di questo periodo, il momento della più intensa attività fu quello dei preparativi per la difesa dell’isola, ma, nonostante il notevole impegno e malgrado qualche isolato successo dei Pisani, la guerra per la Sardegna prese subito un andamento favorevole ai conquistatori Aragonesi e i trattati stipulati tra le parti nel giugno del 1324 e del 1325 misero fine al predominio secolare di Pisa sull’isola.

Una modesta ripresa dell’attività dell’arsenale vi fu negli anni della signoria di Fazio Novello da Donoratico (1329-1340), in ottemperanza delle disposizioni previste nei trattati di pace per la guardia del mare.

Per quanto riguarda gli anni successivi alla signoria di Fazio, il registro di provvisioni degli Anziani riguardanti la Tersana negli anni 1339-1344, c’informa circa le trasformazioni che l’attività di questa subisce in rapporto al modificarsi della politica estera pisana.

Due avvenimenti segnano questi anni:

·        l’assedio posto dai Pisani a Lucca nell’agosto del 1341;

·        l’attacco portato ai confini territoriali pisani dai Visconti nella Primavera del 1344.

La ripercussione di tali fatti nelle attività della Tersana emerge chiarissima dal registro:

·        massiccio taglio dei finanziamenti negli anni di guerra;

·        trasformazione del cantiere navale in deposito e fabbrica di armi e di attrezzature per la guerra e la difesa territoriale.

La perdita della funzione originarie si compì nel 1394 quando Iacopo D’Appiano, signore della città, nel timore che i fuoriusciti riuscissero a ripristinare in Pisa il governo dei Gambacorta, ignorando l’opposizione dei suoi cittadini, ordina di afforzare l’arzanà a guisa di cittadella.

Di lì a pochi anni diventa definitivo il distacco tra città e cittadella; si ha così la rottura del nesso che per secoli aveva collegato la città e i suoi abitanti con la sede dell’attività cui era legata la loro più gloriosa tradizione. Questa è evidente quando, nel 1405, il popolo insorge contro la dominazione viscontea che si era nel frattempo affermata: Gabriello Maria Visconti con i suoi, fuggono nella cittadella di Pisa e abbandonano la città, mentre i cittadini pisani, per difendersi, feciono tra loro e la cittadella un fosso e in sul fosso uno isteccato, e disfeciono molte case per farlo più forte.

A causa di questi eventi l’antico arsenale repubblicano subisce gravi distruzioni; inoltre, quando i Pisani riescono a conquistare la cittadella, venduta dal Visconti ai Fiorentini, i Pisani stessi non esitano ad appiccare il fuoco e a disfare quella che era divenuta e che sarebbe rimasta con la successiva occupazione fiorentina una fortezza nemica. 


PISA TRA POLITICA ED ECONOMIA NEI SECOLI XV-XVI.

L'occupazione di Pisa da parte di Firenze, avvenuta nel 1406, segnò la fine della libera Repubblica pisana ma non della sua apertura al mare n? del suo porto. I Fiorentini avevano la netta consapevolezza che la sottomissione di Pisa e del suo territorio, senza Livorno e Porto pisano, non costituisse quel successo da tempo sperato, così, per ottenere queste zone, avevano iniziato le trattative con i Genovesi. Questa vicenda, conclusa nel 1421 a favore di Firenze, portò un grande entusiasmo per aver finalmente realizzato l'antica aspirazione di avere uno sbocco marittimo autonomo.

Nei secoli passati Firenze era riuscita a costruirsi un'importante posizione economica senza possedere quella flotta che ora diventava necessaria, sia per l'approvvigionamento di materie prime, sia per l'esportazione dei manufatti.

La vulnerabilità di Firenze stava proprio nella mancanza del porto e perciò si trovava costretta ad affrontare le potenze marinare, come Genova, che tentavano di ostacolare la sua espansione.

I successi della crescita economica e politica di Firenze rendevano sempre più urgente avere uno sbocco verso il mare che fosse pienamente controllato dalla Repubblica per sottrarla ai ricatti e alle minacce degli avversari. Per arrivare al mare occorreva che Firenze annettesse Pisa e il suo contado, fino al litorale. La gioia che nel 1421 i Fiorentini manifestarono alla notizia che avevano ottenuto Livorno e Porto pisano era la gioia di chi assaporava la vittoria tanto sospirata.

In realtà Pisa e il suo Porto erano di per s? insufficienti a garantire ai Fiorentini l'accesso al mare; infatti, a causa delle trasformazioni dell'assetto idrografico del territorio, aumentava l'impraticabilità di Porto pisano e le difficoltà di navigazione nell'Arno, inoltre le vicende belliche, che avevano permesso la conquista di Pisa, avevano danneggiato le strutture materiali e umane necessarie all'allestimento di una flotta.

Dei problemi riguardanti l'impraticabilità del Porto n’era consapevole anche Pisa, perciò aveva iniziato a vedere il porto di Livorno come una valida alternativa, dal canto suo anche Firenze stava cercando di avviarvi un'attività portuale, ma il suo impegno risultava vanificato. Il governo, d'altronde, era consapevole dell’importanza economica che avrebbe rivestito un collegamento tra la città e il litorale. Nel 1458 fu creata una commissione di sei membri, gli Ufficiali del Canale, di cui faceva parte lo stesso Cosimo dei Medici, inizialmente allo scopo di approntare un progetto per realizzare un canale tra Firenze e Pisa, poi per studiare le soluzioni più idonee a collegare, per via d'acqua, Firenze con Signa e Pisa con Livorno. Questa magistratura, che rimase in vita fino agli anni Settanta del secolo XV, in realtà non si dedicò mai alle attività per le quali era stata creata, ma ebbe l'incarico di risistemare il territorio fino al litorale per garantire lo scalo marittimo in Porto pisano e, in alternativa, a Livorno.

Un'altra difficoltà affrontata da Firenze, per arrivare alla creazione di una propria flotta, era rappresentata dal degrado delle strutture materiali e dalla perdita di personale qualificato da utilizzare per la costruzione delle galere. Già dalla metà del XIV secolo l'arsenale di Pisa, in conseguenza alla crisi che conosceva l'antica Repubblica marinara, aveva progressivamente ridotto la sua attività cantieristica per diventare un deposito di apparecchiature militari e, infine, una fortezza a difesa della città. Le vicende belliche degli inizi del Quattrocento accentuarono ulteriormente la decadenza del cantiere: gli stessi Fiorentini operarono una serie di distruzioni per migliorare il sistema difensivo della Cittadella che divenne il presidio dei conquistatori verso la città annessa. La decadenza del cantiere fu accompagnata e seguita dalla riduzione di manodopera qualificata per l'attività navale e da una forte emigrazione pisana nei maggiori centri del Mediterraneo. Nemmeno le misure attuate da Pisa per richiamare le maestranze furono utili, così, quando nel 1430 Firenze si alleò con Venezia per combattere Genova, il problema si fece sentire ancora più forte.

Nonostante tutto i Fiorentini non esitarono a scegliere l'arsenale pisano come cantiere per la costruzione delle proprie galere. La ripresa dell’attività cantieristica a Pisa faceva parte del disegno politico di Firenze teso a risollevare le sorti economiche e demografiche di questa parte di Toscana. Questo rispondeva da un lato, all'esigenza fiorentina di dotarsi di una propria autonoma presenza sul mare, ma nello stesso tempo, da un altro, poteva contribuire alla crescita della città di Pisa ridando vita ad una tradizione produttiva che era stata uno dei maggiori vanti della Repubblica marinara. Riaprire gli antichi cantieri repubblicani della Cittadella Vecchia era il segno tangibile di una scelta politica che voleva fare di Pisa il centro mercantile e marittimo dello Stato fiorentino del Quattrocento. Questo aveva però dei limiti: il primo era l'insistere su un'ipotesi d’organizzazione navale che faceva leva sulla sola nozione di sbocco marittimo come condizione necessaria e sufficiente per l'affermazione fiorentina sul mare, il secondo era dato dalla discontinuità con cui il problema navale e marittimo era affrontato.

Pisa ed il Porto non potevano bastare a determinare un'efficace presenza marittima di Firenze. Tuttavia, al di là della più o meno diffusa coscienza dell’opportunità di impostare su una scala più vasta la politica marinara di Firenze, sembra che il suo governo in quegli anni non abbia potuto superare lo schema che vedeva in Pisa il punto d'appoggio determinante per dare a Firenze una presenza marittima.

D'altra parte mezzi ed energie non furono usati nel settore navale tanto quanto sarebbe stato necessario, a cause di lotte intestine e di una politica interna, che dava più importanza al risanamento del territorio. E' importante a riguardo ricordare l'opera dei Consoli del Mare: istituiti nel 1421 con l'incarico di sovrintendere alla costruzione e al funzionamento delle galere, divennero prima responsabili della difesa di Pisa, delle sue fortezze e guarnigioni, successivamente furono affidati loro interventi di bonifica e manutenzione cosicch? le galere finirono per diventare un problema secondario. Stesso destino toccò alla magistratura degli Ufficiali del Canale che, invece di dedicarsi alla realizzazione di un'infrastruttura che avrebbe avuto un ruolo decisivo nel migliorare il collegamento tra il mare e Pisa e, tramite l'Arno, Firenze, si occuparono di tutte altre cose.

Su questa politica navale influì negativamente anche il sistema di governo fiorentino che si basava su cariche conferite mediante sorteggio e che ostacolava la creazione di un gruppo omogeneo, sperimentato di funzionari e di ufficiali preposti alle questioni navali. Un'ulteriore conferma di questa pratica di governo era la mancanza di continuità nella direzione e nell'attuazione delle iniziative intraprese, a ciò si unì il fatto che la marina ricevette sempre finanziamenti discontinui e di livello inadeguato ai suoi bisogni. Le deliberazioni del governo fiorentino, che imposero ai Consoli del Mare di trascurare le galere per occuparsi del territorio pisano, erano conseguenza di una diversa valutazione che la classe dirigente aveva della politica marinara. Fu sempre vista come una voce di spesa elevata e dai benefici ridotti, questa posizione era propria di un ceto mercantile che si era abituato da tempo a svolgere i suoi traffici avvalendosi dei porti altrui.

In definitiva la politica fiorentina del Quattrocento, soprattutto la politica marinara, guardò sempre senza esitazioni a Pisa e al suo territorio come al centro urbano propulsore di tutta un'area a destinazione mercantile che doveva trovare in Porto pisano, prima, e in Livorno, poi, il complementare scalo marittimo per i traffici internazionali. Cosimo I dei Medici riuscì a fare quanto Firenze si era proposta un secolo prima, le linee fondamentali dell’intervento da lui attuato, infatti, erano già alla base dell’elaborazione politica del governo fiorentino del Quattrocento.

Nel XV secolo Firenze s’impegnò a creare una propria flotta al di là delle difficoltà economiche esistenti. A questo scopo parve che la soluzione più adeguata fosse quella di appoggiarsi quanto più possibile alle strutture umane e materiali che Pisa poteva ancora offrire. Questa scelta si sarebbe scontrata, da un lato, con l'insufficiente presenza di valide maestranze a Pisa, dall'altro, avrebbe permesso solo la costruzione di fragili galere e costretto a lavorare in uno spazio insufficiente, da qui la decisione di riutilizzare gli antichi arsenali della Repubblica pisana.

Con Cosimo I la politica marinara di Firenze riprese avvio con determinazione mettendo a frutto quello che il suo predecessore aveva già intrapreso. Riguardo alla politica marinara le informazioni disponibili sul breve Principato di Alessandro sono inesistenti, mentre perciò che riguarda la sua predisposizione verso Pisa si può pensare che essa fosse caratterizzata da una forte consapevolezza dell’importanza dell’area e dalla volontà di riprendere gli interventi di sistemazione e di promozione economica del territorio. Ad Alessandro non sfuggì neppure l'importanza rivestita da Livorno, allo scopo di fare della bassa valle dell’Arno il polo commerciale dello Stato.

L'impegno di Cosimo I era teso a risollevare le sorti di Pisa e a fare di Livorno lo scalo marittimo di tutta l'area, per questo la politica marinara era importante: la ripresa dell’attività cantieristica era la prima misura da adottare. Lo schema generale era ancora quello fatto proprio dal governo fiorentino nel secolo precedente: Pisa doveva diventare il centro di tutta la bassa valle dell’Arno e essere la sede, tecnica ed organizzativa, dell’attività commerciale e navale dello Stato. In tutto ciò Livorno sarebbe stato il naturale sbocco marittimo, attrezzato per raccogliere le navi e le merci, ma in posizione subordinata rispetto a Pisa e il suo territorio. Secondo tale prospettiva, pur continuando Pisa a configurarsi come il centro direzionale di un sistema territoriale che doveva svilupparsi e sostenersi anche in campo marittimo-navale, si operava per articolare il sistema su altri centri e farlo sorreggere da più punti di appoggio. Dal punto di vista cantieristico la marina toscana pot? contare, oltre che sull’arsenale pisano, anche su altri due cantieri edificati a Livorno e Portoferraio. Tutte queste iniziative furono realizzate grazie al controllo che il Principato mediceo acquisì di una parte dell’isola d’Elba e grazie all'egemonia che Cosimo I seppe stabilire sull'area tirrenica sfruttando il legame politico tra Carlo V e il ducato toscano. Questa politica trovò origine dalle diverse opportunità che si offrirono durante il XVI secolo allo Stato mediceo, che beneficiò del processo di riequilibrio nelle relazioni interstatali della penisola e delle tensioni presenti nella politica mediterranea.

In questa nuova situazione politica nasce un elemento di differenziazione rispetto all'esperienza quattrocentesca. Nel XV secolo l'arsenale pisano produsse sia le galere "sottili", cioè imbarcazioni destinate all'impiego bellico, sia galere "grosse" per il trasporto di merci, ma in realtà si lavorò soprattutto per il settore civile e la flotta militare fiorentina fu sempre debole. Con il Principato l'attività degli arsenali di Pisa, Livorno, Portoferraio, invece, fu quasi esclusivamente indirizzata al settore militare. Il nuovo regime pensava ad una flotta da guerra, di Stato, composta da galere da combattimento, per utilizzarla nelle lotte mediterranee e per assicurare al Principato il controllo militare e politico dell’area tirrenica.

La prima galera costruita a Pisa fu varata in Arno nel 1547 e fabbricata utilizzando le strutture del Quattrocento. Tuttavia agli inizi del 1548 Cosimo I ordinò di abbandonare i vecchi cantieri e di farne costruire di nuovi, sempre nell'area della Cittadella Vecchia, nella parte nord-ovest della città, lungo la riva destra dell'Arno, più prossimi al fiume rispetto ai vani repubblicani. Questo era necessario se si voleva disporre di un cantiere più adeguato alle esigenze del nuovo Stato. Cosimo acquistò tutto il terreno circostante l'arsenale e il monastero dalle suore di S. Vito (1548), allontanò l'Orto botanico dalla zona interessata (1563), pot? così utilizzare tutta l'area della Cittadella Vecchia per attività di cantiere e l'arsenale pot? disporre di una superficie di oltre 35.000 metri quadrati. La costruzione dei vani fu ultimata nel 1588 e comprendeva nove archi, sei dei quali furono adibiti all'impostazione delle galere, mentre gli altri utilizzati come magazzini. Complessivamente la superficie coperta dell’arsenale mediceo era poco meno di 5000 metri quadrati. L'operazione avviata da Cosimo I mirò non solo a creare uno spazio interamente destinato, nel tessuto urbano di Pisa, all'attività cantieristica, ma anche a raccogliere attorno all'arsenale buona parte delle maestranze e dei funzionari ad esso addetti, per questo furono creati degli appositi alloggi. Si volle così dare un segno preciso della determinazione e del ruolo che esso avrebbe dovuto svolgere nella vita economica e sociale della città, si cercò la massima funzionalità.

A distanza di circa dieci anni fu costruito un arsenale anche a Livorno destinato alla manutenzione, al restauro, al completamento delle galere che arrivavano da Pisa non finite, dopo il 1564 ne fu costruito un altro a Portoferraio adibito a ricovero e manutenzione.

 La fabbrica di questi due arsenali, potrebbe giustificare la lentezza con cui proseguirono i lavori per l'arsenale di Pisa. Questo era in grado di assolvere le sue funzioni produttive già con i vani creati negli anni Cinquanta e poteva sopportare bene un ritardo per permettere alle finanze medicee di affrontare le spese di costruzione degli altri due arsenali. I due cantieri dovevano svolgere un'attività complementare rispetto a quello di Pisa, che rimase il centro principale delle costruzioni navali, per la quantità di galere costruite, per essere l'unica struttura dotata di un proprio apparato dirigenziale e per esercitare una sorta di controllo generale sull'approvvigionamento di materiali ed uomini necessari. Solo l'arsenale di Pisa ebbe un Provveditore e un organico, regolarmente stipendiato, di funzionari e di lavoratori, inoltre da Pisa si inviavano materiali e maestranze a Livorno e Portoferraio.

Rispetto alla Repubblica, il Principato mediceo dispose di un insieme di cantieri integrati e complementari, tutto ciò presupponeva una direzione politica e amministrativa coordinata e continuativa. Sebbene ripristinati da Cosimo, i Consoli del Mare (1551) non furono incaricati di occuparsi delle galere: la loro costruzione, i rifornimenti, furono di competenza di un unico funzionario, uomo di fiducia del Principe, Luca Martini. Questi aveva sotto la sua autorità l'arsenale di Pisa, di cui era il primo Provveditore, ma dirigeva e controllava anche i lavori svolti nel contado pisano, sovrintendeva alle iniziative verso Livorno e Portoferraio, aveva l'ultima parola su tutte le misure che il governo centrale ordinava di attuare nell'area della bassa valle dell'Arno fino al litorale tirrenico. Le galere facevano parte dell'insieme di interventi diretti da Martini che avevano l'unico fine di potenziare, anche militarmente, questa parte del Principato, polo economico e demografico dello Stato regionale.

 I Provveditori che verranno dopo Martini non avranno più tutto questo potere, ma saranno ugualmente gli unici alti funzionari, nominati direttamente dal Principe, con la responsabilità dei cantieri e di tutto ciò che è attinente all'attività costruttiva per la flotta statale, compresi anche Livorno e Portoferraio.

Alla unicità nella direzione politica e amministrativa si accompagnava la regolarità dei finanziamenti annuali attribuiti all'arsenale pisano per un buon funzionamento della struttura e, in caso di necessità, gli stanziamenti straordinari.

Questi caratteri nuovi, rispetto al Quattrocento, furono il risultato di una profonda trasformazione che lo Stato aveva subito durante la prima metà del XVI secolo, sia sul piano istituzionale, sia su quello territoriale e politico. Il Principato mediceo disponeva ora di più ampie risorse politiche e materiali.  


RAPPORTO CITTA’-MARE



Il cronista fiorentino Goro Dati, che elogiò Pisa e il suo porto all’indomani della conquista fiorentina della città (9-10-1406), ci dà delle indicazioni, che individuano non un grande spazio protetto in cui si svolgano le funzioni cantieristiche, portuale e mercantile, ma i poli di un sistema d’impianti e d’infrastrutture coordinate in funzione di un complesso sistema economico e di mercato.
Pisa nell’antichità si presentava circondata da due fiumi: l’Auser che scorreva a nord e l’Arno a sud. Quest’assetto idrografico era ancora percepibile nel Medioevo, anche se nuovi canali e fossi furono scavati per la necessità dei trasporti e la bonifica delle terre. L’Auser era il confine naturale dell’area urbana, finch? non furono costruite tra la cattedrale e il fiume le mura comunali (1155-1161) e furono scavati i fossi esterni e principalmente quello che costeggiava la città ad ovest e finiva in Arno. Deviato dalla città, l’Auser, oggi detto Serchio, passa più a nord, e dove scorreva il fiume corre la strada che costeggia le mura.
Dentro le mura comunali Pisa ha una superficie di 200 ettari dilatata ad ovest da uno spazio trapezoidale di circa quattro ettari, posto sulla sponda destra del fiume fuori del ponte a mare, che definisce l’area della “Terzana”: la duecentesca darsena o porto-rifugio delle galere, che vi sostavano nel periodo invernale. Questa, infatti, secondo un cronista del XIV secolo, era dotata all’interno di 80 portichi per il ricovero delle imbarcazioni e di un canale di penetrazione nell’unico tratto rimasto libero fra i portici e il lato occidentale delle mura.
 Lo spazio ad essa contiguo, dove oggi vi si trovano in uno spazio più limitato accosto a San Vito i capannoni dell’arsenale mediceo, era occupato dai cantieri navali; la stessa destinazione, almeno dalla seconda metà del duecento, aveva l’area sulla sponda opposta del fiume, dov’è l’odierna Piazza San Paolo a Ripa d’Arno.
La zona dell’arsenale aveva una funzione doganale. Le merci arrivavano o dal porto attraverso i canali di collegamento, o direttamente dal mare attraverso l’Arno, su imbarcazioni, che, entrate in città, erano scortate dagli ufficiali al servizio della dogana fino a San Vito, nel cui specchio d’acqua, dopo il controllo, erano sottoposte a gabella. Da qui, probabilmente su traghetti, le merci proseguivano fino al porto mercantile: la darsena interna, che si apriva nell’area tra la chiesa di San Nicola in Via Santa Maria e più ad oriente la chiesa di San Donato, inglobata poi nel lato est del palazzo oggi sede della Soprintendenza ai Monumenti. In quest’area le merci erano immesse sul mercato, che si teneva nella Piazza San Donato, o caricate sulle imbarcazioni, che scendevano o risalivano il fiume da e per le altre località fuori Pisa, o smistate nell’emporio per avviarle via terra alla loro destinazione. Tal emporio dunque, iniziato a costruire nel 1160 come probabile sede degli uffici mercantili, completa il quadro della rete d’infrastrutture al servizio dei rapporti, che aveva la città col mare.


PORTO PISANO
Per la presenza in Pisa delle importanti infrastrutture come: l’arsenale, la darsena delle galere e la darsena mercantile e le attività che vi erano connesse (commerciali, industriali e di servizio), il porto bench? lontano non era estraneo alla città anzi ne costituiva un polmone vitale.
L’autore del duecentesco Compasso de navigare così lo descriveva: ; dunque protetto e insidiato dalle secche. Esistevano due torri, che chiudevano il porto, una a dieci miglia a sud-ovest era la torre della Meloria e a levante la torre del Fanale; le navi per entrare nel porto dovevano essere ben allineate.
Una delle maggiori difficoltà per Pisa era di tenere la foce continuamente libera dai detriti che innalzano il fondo, per avere la possibilità di passare con navi sottili e di pescaggio limitato, come le galere che svernavano in terzana.
Infatti, l’autore del LIBER MAIOLICHINUS, quando descrive la partenza della flotta per l’impresa balearica (1113-14), racconta che questa, in difficoltà alla foce, si alleggerì, attese l’alta marea per entrare in mare, reimbarcò vettovaglie e armi oltre la foce, e prese immediatamente il largo.
Il Porto Pisano è attestato con questo nome a partire dal secolo X, e fu attrezzato per la necessità di un commercio in forte espansione alla metà del secolo XII in un decennio tra i più importanti della storia del Comune pisano sotto il profilo sociale, economico, e politico, ma le navi militari continuarono a prendere il largo direttamente dalla foce o a risalirla senza sostare nel porto.
Fu in funzione del proprio commercio che Pisa riattrezzò il porto e creò gli opportuni collegamenti.
Mentre dal 1155 al 1161 si costruirono in cinque lotti le mura urbane, il 1156 si incominciò a costruire la torre Meloria davanti al porto Pisano. Nel 1158 si allestirono cinque galere per la guardia del mare e si iniziò la costruzione di due torri che chiudevano il seno del porto.
A dimostrazione che le navi costruite e attrezzate a Pisa navigavano il fiume vuote, facilitando così l’uscita dalla foce, riportiamo il fatto che nel 1162 i Genovesi affondarono tre navi vuote a Bocca D’ Arno facendo scoppiare così una guerra e per questo l’ufficiale preposto < guardie sancti viti et magnalis portus > (preposto dunque alla dogana e al porto) fece fortificare le torri e serrò il porto con una gran catena che passava da torre a torre.
Per tutta la prima metà del Duecento le strutture portuali non cambiarono molto, se non in alcuni particolari quali la costruzione di un loggiato sulla riva del mare, dove erano riparate le merci in caso di mal tempo in attesa dell’imbocco o subito dopo lo sbarco prima di essere avviate alla loro destinazione.
Alla fine del Duecento ormai quattro torri proteggevano il porto: più avanzata verso ovest la Frasca, la Magnale più arretrata e centrale, e all’imbocco del canale del Porto Soarsa e San Vito collegate dalla catena. A oriente della rocca di Livorno c’era inoltre la torre del Fanale e a cinque miglia nel mare la torre Meloria.
Nel fatale Settembre 1290, i Genovesi provocarono a Porto Pisano un danno gravissimo, mentre le forze congiunte della lega Guelfa occuparono il borgo del porto e Livorno: intasarono l’imboccatura del canale maggiore d’accesso affondandovi una galera.
Furono guastate le torri, e la Torre del Fanale che non pot? essere presa fu fatta crollare in mare e ricostruita nel 1305.
Le difficoltà del Porto Pisano crebbero continuamente dopo il disastro provocato dai genovesi per il costante innalzamento del fondo della foce dell’Arno.
Dell’antico seno del porto non rimane più nulla: la costa è avanzata di oltre tre chilometri e i soli punti di riferimento riconoscibili sono ormai i percorsi dei torrenti. Tra il Cigna e il Calabrone si sviluppava il seno del Porto Pisano, ormai quasi completamente occupato dall’attuale darsena del porto di Livorno.

LE FONTI SULLA TERZANA



Le prime testimonianze risalgono agli inizi del VII secolo d.C. e parlano della presenza di un’ingente flotta navale impegnata in battaglie di conquista e difesa.

Ma è solo nell’XI secolo che si hanno notizie dirette della flotta e della sua organizzazione bellica con le imprese nella prima crociata.

Nel 1113 centinaia di imbarcazioni pisane salparono alla volta delle isole Baleari con la definitiva conquista di queste a Maiorca nel 1115, impresa grandiosa documentata accuratamente dal poema LIBER MAIOLICHINUS.

La CARTA PISANA DI FILADELFIA, documento dei secoli XI-XII, contiene in dettaglio l’elenco delle spese e dei contribuenti per la costruzione delle galere necessarie alle imprese svolte. Non sono espressamente citati i nomi dei committenti ma si risale ad un probabile impegno delle famiglie aristocratiche di Pisa a prova del loro innato sentimento marittimo.

Intorno al 1160, quando i comuni in Italia andavano formandosi e consolidandosi, si hanno le prime notizie di un intervento diretto del comune di Pisa nel settore marittimo con un ingente impegno finanziario a favore della costruzione della “darsana”.

Le fonti non forniscono precise notizie della zona in cui fu costruita, ma parlano della figura di un guardiano incaricato al suo controllo.

Il complesso edificato era organizzato dall’OPERA DELLA TERZANA, un organo burocratico che regolamentava il funzionamento dei cantieri.

Le prime notizie provenienti da documentazioni pubbliche sull’organizzazione della terzana sono molte, ma scarse sono quelle relative al suo funzionamento durante il suo primo secolo di vita. Gran parte di questa documentazione è riconducibile ai privati cittadini che certificano l’intensa attività dei cantieri.

Alla fine del 1200, la sconfitta della Meloria contro i genovesi segnò il tramonto della Repubblica di Pisa. L’attività marinara non cessò del tutto ma la perdita della Sardegna nel 1325, portò ad un lento ma deciso declino dell’attività cantieristica.

Verso il 1330 Pisa ritrova parte della sua attività anche se un importante REGISTRO DEGLI ANZIANI attesta la notevole diminuzione dell’influsso di Pisa nel commercio marittimo.

Tra tutti i documenti su Pisa e la terzana sono quelli iconografici, di grande interesse storico: la pianta attribuita a Giuliano da Sangallo è probabilmente la prima pianta della terzana oggi conosciuta, databile intorno al XV secolo.La fonte risulta un documento a supporto di ipotetiche ricostruzioni della zona della terzana.

Agli inizi del 1400, quando ormai la terzana perde gran parte della sua funzione bellica, il luogo è ben ricostruito da una seconda importante fonte grafica: è la tavola di un anonimo autore, anch’ essa databile al XV secolo, oggi esposta nella chiesa di San Nicola; la tavola rappresenta San Niccolò da Tolentino nell’atto di abbracciare e proteggere Pisa. 

Le variazioni e lo sviluppo di Pisa sono chiaramente leggibili dai documenti iconografici rintracciabili nel corso degli anni, che denunciano i cambiamenti planimetrici della terzana e della viabilità circostante.

Dopo il PIANO DI RICOSTRUZIONE DEL DOPOGUERRA, un disegno degli anni ’50, propone il nuovo rapporto tra terzana e viabilità, quella attuale che modificherà profondamente l’area, fino alla situazione che possiamo leggere oggi.


 


La rapida crescita della terzana negli anni, la porta attualmente ad un’estensione di circa 40000 mq, dimensioni dell’area che ancora oggi accoglie ciò che resta della vecchia cittadella.

Sono numerosi i progetti del nostro secolo che si propongono di recuperare l’area, oramai deturpata dalle infrastrutture viarie costruite nel dopoguerra. Oggi, è dalle fonti iconografiche che meglio si ha una ricostruzione dell’assetto antico della terzana.

Dei tre lati delle mura difensive che inglobavano la terzana alla città, ne rimangono oggi solo due: quello a nord e quello ad ovest, mentre la parte a sud, che correva parallelamente all’Arno, rimane attualmente nascosto dalle arginature del fiume.

Sulle pareti della cinta muraria sono ben distinguibili le quattro fasi costruttive che dal 1250 ne completeranno la costruzione con l’occupazione fiorentina intorno al 1420.

La tavola rappresentante Pisa nel Quattrocento, e oggi conservata nella chiesa di San Nicola, individua chiaramente i tre lati della cinta addossati alle già esistenti mura della città.

A sud-ovest era presente una porta sormontata da una torre d’angolo: da questa porta indirizzandosi verso l’interno della terzana, si nota un cammino obbligato dalla presenza di due paramenti murari laterali che conducono, parallelamente all’Arno, alla porta di una torre più antica che si trovava poco più a nord della ricostruita torre Guelfa (1400 circa).

Questa si trova oggi inglobata nelle più recenti mura a mattoni di costruzione trecentesca, situate in prossimità della vecchi cinta a sud: parallele al corso dell’Arno e risalenti al periodo della seconda fase di costruzione della cinta muraria, le “nuove” mura, ospitavano le arcate di alcuni portici oggi non più esistenti, ma dei quali è intuibile la presenza per le grandi arcate ingloba te nella parte interna del muro. E’ possibile che questi portici fossero almeno nove, ma può essere altrettanto attendibile la presenza di circa 80.

Proprio nei pressi della torre Guelfa è ricostruibile la presenza di un ponte a tre campate che, dalla Porta a Mare situata in prossimità della torre, conduceva ad una nuova porta, oltre l’Arno, dove oggi sono ancora ben distinguibili i segni lasciati dalla presenza del ponte. Questo fu unito alla cittadella con un ulteriore muro difensivo a mattoni.

La terzana era inizialmente percorsa da molti canali interni necessari alla costruzione delle galere e al loro trasporto verso l’Arno, una volta uscite dai cantieri.

Con la perdita della funzione bellica della terzana a favore di un’area adibita a deposito materiali, la struttura medievale dei portici fu variata con l’abbattimento di alcuni di questi e la ricostruzione di altri, nella ricerca di una migliore funzionalità dell’area. Fu scavato un bacino di accesso più centrale mentre ne furono insabbiati altri, ritenuti in posizione inefficiente.

Nel 1290 fu costruita la torre Ghibellina affiancata nel 1324 da un’anteporta di cui oggi rimangono alcune tracce (l’attuale “Palazzetto”).

Nella prima metà del XIV secolo fu costruita l’anteporta alla Porta della Degazia: tale apertura è ancora oggi evidente ed è caratterizzata da un ampio arco ribassato affiancato da uno minore a tutto sesto.

Verso il 1400, durante l’ultima fase di costruzione delle mura e in seguito ai molti danni arrecati alla terzana, fu costruita la torre Guelfa, già citata, e un nuovo palazzetto nell’angolo sud-ovest: tutte costruzioni eseguite con materiali di scarto provenienti dall’abbattimento delle abitazioni limitrofe, con l’intento di sgomberare l’area circostante e fortificare la terzana.

Nel 1440, con la costruzione della Cittadella Nuova ad est di Pisa, la terzana tornò ad avere la sua vecchia funzione di cantiere e ricovero navale, con l’esigenza di costruire nuovi portici per ospitare le galere.

Nella pianta attribuita a Giuliano da Sangallo si notano, infatti, nuove costruzioni oltre a quelle preesistenti. Inoltre si identifica chiaramente il doppio paramento murario parallelo al corso dell’Arno e i due torrioni a nord-ovest e sud-ovest.

Alla metà del 1500, Cosimo I incaricò Buontalenti di progettare i nuovi arsenali, gli Arsenali Medicei, oggi esistenti ed immutati nella struttura: si trovano ad est della terzana e sono organizzati in portici paralleli all’Arno. La struttura si estende ad est nelle vicinanze della chiesa di San Vito.

Nel 1747 gli Arsenali Medicei furono destinati alle truppe di cavalleria e, da allora l’area della terzana rimase sostanzialmente immutata fino all’avvento del secondo conflitto mondiale, che ha portato alla distruzione di gran parte delle strutture esistenti.




L’ARSENALE REPUBBLICANO

L’arsenale repubblicano è situato nella porzione di Pisa denominata Tersana, l’antica fortezza dei Pisani verso ponente. Secondo più fonti storiche (Taioli, Roncioni e Tronci) la sua edificazione fu decisa nel 1200 (quando potestà era Guelfo Porcari) dagli Anziani della Repubblica

”per servigio della guerra e della mercanzia” (1).

Nel riferirsi a questo edificio, gli Anziani lo indicano come “Arsenale Maggiore”.Questo fa supporre che esistessero già a Pisa costruzioni simili, ma di dimensioni più piccole. L’arsenale in questione era sicuramente, visto le caratteristiche della città, un arsenale marittimo, ossia uno stabilimento destinato alla costruzione, manutenzione e al riparo di navi militari.

Originariamente l’edificio era racchiuso da un muro con tre torri (oggi ne esistono solo due e sono denominate una Guelfa, l’altra Ghibellina).Nel recinto delimitato da questo muro, oltre agli stanzoni per la costruzione delle navi erano presenti magazzini per gli attrezzi e officine nelle quali si realizzavano gli interventi di manutenzione e le eventuali riparazioni. Oggi però di tutto questo resta una minima parte. I Fiorentini dopo aver conquistato la città, nel 1407 decisero, infatti, di costruire una nuova fortezza a sostituzione di quella esistente e a tale scopo distrussero quasi completamente l’arsenale e molti degli edifici situati nell’area della Terzana.

Successivamente molti sono stati gli interventi su ciò che restava dell’arsenale, inizialmente per permetterne il riuso anche con funzioni diverse, poi per evitare il crollo delle parti restanti (si tratta quindi di interventi di recupero e conservazione).

Vediamo con più precisione come nel corso della storia l’edificio abbia modificato la sua struttura partendo dal momento in cui fu costruito per arrivare ai giorni d’oggi.

Ciò che oggi resta dell’arsenale sono quattro navate, piccola parte della struttura originaria. Questa difatti continuava verso Nord e Sud, come dimostrano le tracce sui muri esposti verso questi due punti cardinali delle arcate originarie.A sostegno di questa tesi è anche la presenza di sette contrafforti costruiti successivamente per bilanciare la spinta di una muratura originariamente interna che si era ritrovata a essere perimetrale.

Secondo un’importante fonte documentaria dei primi decenni del Trecento, erano presenti ben ottanta “portici” in quell’area (2): a questi devono appartenere i quattro oggi rimasti. Non è detto che un’opera di queste dimensioni sia stata realizzata in un’unica fase costruttiva; è invece probabile che queste navate “in serie” siano state realizzate in più volte e che appartengano a una grande iniziativa pubblica impegnata nella ristrutturazione dell’Arsenale.

La struttura e l’organizzazione interna dell’edificio sono fortemente condizionate dalla morfologia della Tersana. Infatti, sul suo muro esposto a sud si apriva una grande arcata grazie alla quale l’Arno “entrava” nell’area cantieristica sotto forma di canale. Questo corso d’acqua permetteva alle imbarcazioni di entrare per opere di manutenzione o riparo e di uscire quando i lavori erano terminati.E’ in base alla sua morfologia che si decise la conformazione dei capannoni; si voleva favorire il più possibile le manovre delle navi verso il canale. Per questo le navate non sono a lui ortogonali, ma presentano un’inclinazione rispetto alla verticale del canale di 50°.Da ciò deriva la forma in pianta dell’arsenale: un parallelogramma di 40 metri circa di lato. Per analizzare la struttura in alzato è necessario seguire il suo sviluppo nel corso della storia. Grazie ad un’analisi stratigrafica svolta di recente (3) è stato possibile individuare sei diverse fasi di modificazione della struttura, che ci apprestiamo ad elencare.

Prima Fase


Corrisponde alla costruzione dell’edificio dell’Arsenale.

Strutturalmente questo è organizzato in una serie di navate parallele ciascuna delle quali presenta dei pilastri in pietra che sostengono delle grandi arcate di 8 metri di luce c.a.. Non sappiamo se queste fossero a tutto sesto o a sesto acuto e nemmeno i confronti con edifici appartenenti alla stessa tipologia ci danno una mano nel risolvere questo problema. I muri interni invece presentano lo stesso sistema di appoggio (pilastri di pietra quadrangolari) che sostiene però otto archi a sesto ribassato ciascuno con una luce di 4 metri. Gli archi interni sono quindi archi obliqui e ciò è dovuto alla luce della navata minore di quella dell’arco. Tutto ciò e chiaramente collegato alla forma a parallelogramma che l’edificio assume in pianta.

Grazie ai reperti di scavo rinvenuti nell’area possiamo affermare che la copertura, a due falde, era realizzata in lastre d’ardesia fissate con chiodi alle capriate in legno.

I materiali costruttivi impiegati in questa fase sono:
·        l’ardesia per la copertura;

·        il legno per le capriate;

·        la breccia di Asciano per la base dei pilastri (si tratta di conci squadrati disposti secondo filari paralleli e regolari);

·        i laterizi.

Quest’ultimi sono sicuramente il materiale dominante; le loro dimensioni (29.8x11.9x5), insieme alla tecnica usata per murarli, ci hanno permesso di risalire al periodo in cui l’Arsenale fu edificato. Siamo intorno alla fine del duecento - inizio del trecento. A conferma di ciò troviamo molti fatti.

L’Arsenale fu sicuramente una delle opere in laterizio più importanti realizzate dalla Repubblica di Pisa durante la sua indipendenza, il che giustifica un particolare atteggiamento del comune ossia il protezionismo del prezzo del mattone acquistato. Il Comune assunse questo atteggiamento tra il 1286 e il 1319 e questo, insieme a una serie di regolamentazioni realizzate nello stesso periodo che prevedevano il trasferimento nella Tersana del materiale proveniente dalla distruzione delle abitazioni dei cittadini ribelli o colpevoli di tradimento, ci spinge a collocare la realizzazione della struttura originaria in questo periodo.

Inoltre, secondo la stessa fonte storica cui si è fatto riferimento per il numero originario delle arcate dell’Arsenale (2), la conclusione dei lavori per la sua realizzazione deve essere fatta risalire agli anni tra il 1330 e il 1340.


Seconda Fase



L’Arsenale già dalla metà del XIV secolo, in conseguenza della crisi che aveva colpito l’antica Repubblica marinara, aveva progressivamente ridotto la sua attività cantieristica per diventare prima un deposito di apparecchiature militari ed infine una fortezza a difesa della città quando Pisa era entrata in guerra con Firenze (che poi la conquistò nel 1406). In conseguenza di ciò l’edificio fu in parte distrutto. La cosa interessante è che questo non avvenne solo durante l’assedio, ma anche dopo la conquista: i fiorentini, infatti, ne eliminarono delle parti per migliorarne l’assetto difensivo e renderlo un presidio verso la città. La fase che ci apprestiamo a analizzare è quella in cui si tentò di ripristinare la struttura con lo scopo di restituirle la sua funzione originale: i fiorentini, infatti, volevano usarla come cantiere per la costruzione delle loro galere.

In questo intervento l’edificio fu sicuramente accorciato a Nord, mentre con ogni probabilità si mantenne una navata in più verso Sud rispetto a quelle che oggi possiamo vedere. Si costruirono inoltre nel muro esterno a Nord i contrafforti di cui si è detto in precedenza per risolvere i problemi statici della struttura.Tutte le arcate furono tamponate.

Le uniche aperture di questa fase sono delle finestre e delle porte con vani ad arco ribassato. Inoltre visto la scarsa resistenza del terreno di fondazione, per edificare i nuovi muri perimetrali si usò una soluzione strutturale particolare, ossia degli archi di tiraggio poggianti sui pilastri in pietra. Si realizzò anche un nuovo sistema di scolo delle acque mediante l’uso di una serie di canalette in laterizio.

Tutto il materiale usato in questa fase è materiale di reimpiego e questo costituisce un notevole problema per ciò che concerne la datazione di questo intervento. Si è comunque riusciti a collocarlo cronologicamente grazie agli scavi archeologici svolti e alle fonti iconografiche e scritte a disposizione (in particolare la pianta del Sangallo), tra la fine del XV secolo e i primi decenni del XVI. A conferma di ciò ricordiamo che le prime galere fiorentine costruite a Pisa sono del 1547 e fonti storiche ci assicurano che furono costruite all’interno del vecchio Arsenale. Fu, infatti, solo nel 1548 che Cosimo I decise di abbandonare i vecchi cantieri e di costruirne di nuovi sempre nella stessa area ma più vicini al fiume rispetto ai vani repubblicani.Ciò che resta di questi edifici forma quello che noi conosciamo oggi con il nome di Arsenale Mediceo.

Terza Fase


Si tratta di una nuova fase di ristrutturazione che dà all’edificio la volumetria attuale. L’intervento riguarda l’intera struttura, ma in modo particolare il muro a Sud. Qui si costruisce un nuovo muro di chiusura, com’è facilmente percepibile anch’oggi a prima vista. Ciò che distingue questa fase dalla precedente è l’apporto di nuovo materiale da costruzione. Si fa uso di laterizi e di calcare selcifero di colore bianco – grigio.E’ interessante la tecnica muraria usata (muratura in pietra con filari di due o tre file di mattoni ogni 50-60 cm), perch? è la stessa usata nella costruzione dell’acquedotto Mediceo. Questo, insieme alla dimensione dei mattoni usati, ci permette di datare l’intervento alla fine del XVI secolo. 


Quarta Fase

E’ caratterizzata da un ulteriore intervento di ristrutturazione anche se di dimensioni molto limitate.Con ogni probabilità è legato ad un cambio di funzionalità dell’edificio, che però non siamo in grado di precisare visto le scarse notizie sulle vicende post - medievali a Pisa. Si risistemano gli ingressi principali delle navate (ossia quelli sulle murature ad Ovest ed Est), inserendovi una particolare morfologia di arcate a tutto sesto con architravi in pietra serena e si murano delle soglie nello stesso materiale. Oltre alla pietra serena, l’altro materiale costruttivo impiegato è di nuovo il laterizio ed è di nuovo grazie alle dimensioni dei mattoni (28.5x14x4 cm) che si è potuto datare l’intervento intorno al XVIII secolo.


Quinta Fase

Si tratta di un intervento mirato e limitato al muro esterno Sud, che consiste nell’abbassamento del livello delle finestre costruite nella fase 3 (ossia in un loro allargamento) con lo scopo di migliorare l’illuminazione dell’interno.

Sesta fase

In questa fase sono chiusi i vani laterali presenti nelle grandi arcate delle murature ad Est e Ovest in funzione del nuovo uso dell’Arsenale oramai adibito a stalle.

Anche se queste ultime due fasi non possono essere datate con precisione, si possono collocare tra il XVIII e gli inizi del XX secolo.
Si devono infine segnalare gli interventi realizzati sull’edificio nel dopoguerra nel tentativo di recuperare la struttura quasi completamente distrutta dai bombardamenti; si tratta della costruzione della chiave dell’arcata Nord del muro Ovest in cemento armato e della muratura in mattoni trafilati e cemento Portland nello stesso muro Ovest.

Oggi l’Arsenale è troppo costruito per parlare di rudere, ma è troppo poco strutturato per poterlo definire un’edificio. A ciò è legata la difficoltà dell’intervento. Scartata l’ipotesi di fermare il degrado e di lasciarlo nello stato in cui ora si trova (troppi sarebbero i pericoli, primo fra tutti quello di un crollo), oggi l’idea del Comune di Pisa e della Sovrintendenza ai Beni Culturali e Artistici è di ricomporre parzialmente l’edificio, ossia di ricreare l’ossatura muraria necessaria a sostenere il peso di una copertura, rendendone così possibile un’uso anche se parziale.

NOTE


(1) Tratto da “Pisa Illustrata”, 1812

(2) Garzella, “L’Arsenale medievale di Pisa: primi sondaggi sulle fonti scritte”, in “Arsenali e città”

(3) Si fa riferimento al fascicolo “Analisi archeologica delle strutture architettoniche dell’Arsenale Repubblicano di Pisa”- Juan Antonio Quiros Castillo-1994

In questa fase sono chiusi i vani laterali presenti nelle grandi arcate delle murature ad Est e Ovest in funzione del nuovo uso dell’Arsenale oramai adibito a stalle.
Per la presenza in Pisa delle importanti infrastrutture come: l’arsenale, la darsena delle galere e la darsena mercantile e le attività che vi erano connesse (commerciali, industriali e di servizio), il porto bench? lontano non era estraneo alla città anzi ne costituiva un polmone vitale.L’autore del duecentesco così lo descriveva: ; dunque protetto e insidiato dalle secche. Esistevano due torri, che chiudevano il porto, una a dieci miglia a sud-ovest era la torre della Meloria e a levante la torre del Fanale; le navi per entrare nel porto dovevano essere ben allineate. Una delle maggiori difficoltà per Pisa era di tenere la foce continuamente libera dai detriti che innalzano il fondo, per avere la possibilità di passare con navi sottili e di pescaggio limitato, come le galere che svernavano in terzana.Infatti, l’autore del LIBER MAIOLICHINUS, quando descrive la partenza della flotta per l’impresa balearica (1113-14), racconta che questa, in difficoltà alla foce, si alleggerì, attese l’alta marea per entrare in mare, reimbarcò vettovaglie e armi oltre la foce, e prese immediatamente il largo.Il Porto Pisano è attestato con questo nome a partire dal secolo X, e fu attrezzato per la necessità di un commercio in forte espansione alla metà del secolo XII in un decennio tra i più importanti della storia del Comune pisano sotto il profilo sociale, economico, e politico, ma le navi militari continuarono a prendere il largo direttamente dalla foce o a risalirla senza sostare nel porto.Fu in funzione del proprio commercio che Pisa riattrezzò il porto e creò gli opportuni collegamenti.Mentre dal 1155 al 1161 si costruirono in cinque lotti le mura urbane, il 1156 si incominciò a costruire la torre Meloria davanti al porto Pisano. Nel 1158 si allestirono cinque galere per la guardia del mare e si iniziò la costruzione di due torri che chiudevano il seno del porto.A dimostrazione che le navi costruite e attrezzate a Pisa navigavano il fiume vuote, facilitando così l’uscita dalla foce, riportiamo il fatto che nel 1162 i Genovesi affondarono tre navi vuote a Bocca D’ Arno facendo scoppiare così una guerra e per questo l’ufficiale preposto < guardie sancti viti et magnalis portus > (preposto dunque alla dogana e al porto) fece fortificare le torri e serrò il porto con una gran catena che passava da torre a torre.Per tutta la prima metà del Duecento le strutture portuali non cambiarono molto, se non in alcuni particolari quali la costruzione di un loggiato sulla riva del mare, dove erano riparate le merci in caso di mal tempo in attesa dell’imbocco o subito dopo lo sbarco prima di essere avviate alla loro destinazione.Alla fine del Duecento ormai quattro torri proteggevano il porto: più avanzata verso ovest la Frasca, la Magnale più arretrata e centrale, e all’imbocco del canale del Porto Soarsa e San Vito collegate dalla catena. A oriente della rocca di Livorno c’era inoltre la torre del Fanale e a cinque miglia nel mare la torre Meloria.Nel fatale Settembre 1290, i Genovesi provocarono a Porto Pisano un danno gravissimo, mentre le forze congiunte della lega Guelfa occuparono il borgo del porto e Livorno: intasarono l’imboccatura del canale maggiore d’accesso affondandovi una galera.Furono guastate le torri, e la Torre del Fanale che non pot? essere presa fu fatta crollare in mare e ricostruita nel 1305.Le difficoltà del Porto Pisano crebbero continuamente dopo il disastro provocato dai genovesi per il costante innalzamento del fondo della foce dell’Arno. Dell’antico seno del porto non rimane più nulla: la costa è avanzata di oltre tre chilometri e i soli punti di riferimento riconoscibili sono ormai i percorsi dei torrenti. Tra il Cigna e il Calabrone si sviluppava il seno del Porto Pisano, ormai quasi completamente occupato dall’attuale darsena del porto di Livorno.






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