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Torino - L'architetto giapponese Arata Isozaki nell'edificio da lui progettato: 'C'è Torino nel suo disegno"

Di Marina Paglieri fonte: La Repubblica

I Giochi li seguirò in televisione, non amo il freddo e la folla, mi pare tutto complicato
Arata Isozaki - un mito dell'architettura internazionale, con 300 opere realizzate in tutto il mondo, studio a Tokyo e da quest'anno pure a Milano - è un signore autorevole e gentile, essenziale nelle parole ma esaustivo quando parla del suo lavoro, rigoroso ma anche sottilmente ironico. Colbacco di pelliccia, soprabito lungo e scuro su abiti minimali, si è presentato ieri mattina in piazza d'Armi per vedere il suo palahockey, ormai «Palaisozaki», finito. È tornato al pomeriggio, giusto in tempo per ascoltare Claudio Baglioni che provava dal vivo il concerto della sera. L'abbiamo incontrato mentre sotto le volte dell'edificio che ha realizzato con Pier Paolo Maggiora dell'Archa e gli ingegneri dell'Arup si diffondevano le note di Piccolo grande amore e i primi accenni dell'inno ufficiale delle Olimpiadi.



Arata Isozaki, che effetto le fa trovarsi nel suo edificio, non solo completato ma già in attività? «Lo spazio è così grande, mi spiacerebbe vederlo vuoto, senza le persone. Quando immaginavo di fotografarlo, lo pensavo affollato: è importante vedere l'architettura già animata, con il pubblico. Mi piace anche che ci sia la musica, e spero che continui a esserci in futuro. Quando ho concepito il progetto, pensavo già al 'dopo Olimpiadi', più che alle Olimpiadi vere e proprie».



Dopo i giochi invernali, che cosa ci vedrebbe bene? «Senz'altro i concerti, l'acustica mi pare buona. E poi convegni, incontri politici per le elezioni, performance artistiche, spettacoli di danza e, perché no, anche il circo. Si tratta di un edificio flessibile, pensato per tante occasioni. È stato lo stesso per il palazzo dello sport Sant Jordi che ho realizzato per le Olimpiadi di Barcellona del 1992: ha continuare a vivere anche dopo».



Si è ispirato a Torino quando ha concepito il progetto? «Ho tenuto conto del carattere unico della città, legato alla griglia ortogonale delle strade, sopravvissuta, a differenza delle altre città, fino all'età moderna. Questo edificio geometrico si accorda con quella griglia: la stessa forma è riproposta all'esterno, nel giardino: il prato presenta le stesse misure del palazzo».



Ha visitato Torino? «Conosco l'architettura storica, nota nel mondo, soprattutto per il barocco. Non ho avuto modo invece di visitare le nuove opere, quelle legate alle Olimpiadi. Non ne ho avuto il tempo, sono venuto sempre solo per lavorare, tra un aereo e l'altro».



E che cosa le piacerebbe vedere, con maggiore tempo a disposizione? «Opterei decisamente per le opere di Guarini e Juvarra, le altre mi interessano meno. Ma c'è un altro tema che mi attrae oltre al barocco: è il cibo, da voi particolarmente raffinato. Penso soprattutto al barolo e al tartufo. In Giappone importiamo i tartufi, a Tokyo c'è stata persino una fiera di prodotti piemontesi. Non so se sono previsti collegamenti tra questo palazzo dello sport e la cucina: se ci saranno iniziative in questo senso, non mancherò di partecipare».



E per le Olimpiadi verrà? «Non credo: non amo il freddo e nemmeno la folla, le misure di sicurezza, le difficoltà a muoversi: mi pare tutto troppo complicato. I Giochi di Torino li vedrò in televisione».







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